Le leggi per tutelare il made in Italy non bastano se non sono gli imprenditori in primis a crederci.
Tra gli stand di Milano Unica, la fiera del settore tessile a Fieramilanocity fino a domani, gli animi si scaldano.
Non bastano la difficoltà dei mercati e l'incertezza su come andranno le prossime stagioni.
Le aziende che producono tutto in Italia chiedono maggiore serietà e controlli e parlano di concorrenza sleale da parte di chi, invece, delocalizza.
«Con grande dispiacere si vede smantellare tutto quello che è stato ed è made in Italy - commenta Roberto Colombo, amministratore delegato del Lanificio Colombo -. Dobbiamo renderci conto che noi siamo la qualità che, soprattutto in questo momento, il consumatore chiede, oltre al brand. La qualità è la base e arriva dall'Italia. La difesa del made in Italy deve arrivare dagli imprenditori attraverso il lavoro di tutti i giorni. Le leggi vengono bloccate, non sono chiare e sono vincolate da interessi diversi. Deve partire tutto dalle aziende e la qualità italiana, quella vera, paga: se si produce in gran parte fuori e poi si mette l'etichetta made in Italy si vede. Di fronte alla realtà delle cose non c'è legge che tenga. Serve concretezza».
Ci crede Alberto Barberis Canonico del lanificio di famiglia Vitale Barberis Canonico.
«Produciamo tutto in Italia e controllo personalmente le fattorie australiane da cui arriva la lana che viene pettinata, filata, tessuta e finita in Italia - dice -. È un diritto dei consumatori avere la tracciabilità del prodotto che compra. E questo vale per tutti i settori, non solo il tessile. Inoltre è un dovere e un orgoglio per un'azienda garantire che il suo prodotto sia stato realizzato nel nostro paese. Poi vincerà il migliore sul mercato che sia italiano, indiano o cinese. Ma è una battaglia persa: l'Unione europea sta trattando il sistema industriale come una matrigna, non come una madre benevola. Come se non fosse importante per l'economia globale. A questo si aggiungono tasse, come l'Irap, che chi produce in Italia è costretto a pagare a differenza di chi delocalizza, e lo svantaggio dei mercati che lavorano con l'euro nei confronti di quelli che invece lavorano con il dollaro».
Produrre in Italia significa creare e sviluppare idee originali e dare loro un alto valore aggiunto che significa stretto controllo sulle macchine, sui tempi di consegna, sull'esecuzione del lavoro da parte delle persone.
Ecco perché per il Lanificio Fratelli Bacci il timing e la tecnologia dei macchinari sono fondamentali per rispondere alle esigenze sempre più articolate dei clienti, come spiega Luigi Bacci: «Sei anni fa abbiamo acquistato un macchinario da 350mila euro che ci permette di personalizzare il prodotto.
A ogni stagione partiamo con 300 articoli della nostra collezione ai quali se ne aggiungono altrettanti realizzati seguendo le indicazioni dei clienti».
Come Bacci anche Testa (tessuti per camicie) appoggia un intervento legislativo a garanzia.
«Sarebbe un grande aiuto per noi, ma siamo spaventati dalle vie di mezzo - afferma il direttore generale Claudio Passera -. Può essere veramente considerata made in Italy una camicia tagliata e cucita in Cina o in India, con tessuti prodotti là, solo perché le si attaccano i bottoni e l'etichetta nel nostro paese? Questo rappresenta solo il 10% di tutto il processo produttivo e il resto?».
Marika Gervasio
IL SOLE 24 ORE