Nell’Italia al tempo della crisi non ci sono solo cassa integrazione e licenziamenti: ci sono anche imprenditori che mettono mano ai propri risparmi personali per salvare una storia ed evitare che i dipendenti salgano, disperati, sul tetto della fabbrica. È successo a Como, dove l’imprenditore tessile Moritz Mantero ha venduto tutto ciò di personale che aveva e lo ha messo in azienda.
Cinque milioni di euro, non proprio una quisquilia. La Mantero è una delle due storiche aziende della seta di Como: la fondò nel 1902 un piemontese della provincia di Alessandria, Riccardo Mantero, arrivato in riva al lago con una bicicletta e qualche idea. L’altra storica azienda della seta è la Ratti, fondata sessant’anni fa da Antonio Ratti, che era invece un comasco doc. La seta ha fatto la fortuna di Como quasi quanto la bellezza del lago. Ci sono stati gli anni, anzi i decenni, delle vacche grasse. Poi sono arrivati quelli delle vacche magre. La concorrenza della Cina. Il calo del fatturato. I tagli al personale. Non era solo un fatto di recessione economica. Era anche il venir meno di una tradizione, il mutare pelle e anima a una città. Come se a Biella non ci fosse più il tessile, a Sassuolo la ceramica, in Romagna il turismo.
La sede della Mantero è in via Volta, nella città murata. Moritz, 63 anni, è un signore gentile, che sembra d’altri tempi. Riceve in una sorta di foresteria che rende l’idea di una grande azienda che ha mantenuto la dimensione familiare. «Il tessile - ci spiega - ha sempre avuto alti e bassi. L’ultima crisi era stata quella del biennio 2001-2003. Poi si era ripreso un po’, ma era stata un’illusione. Dal 2004 è cominciato a scendere di nuovo fino alla crisi attuale, che non è più solo settoriale ma generalizzata». Risultato: i consumi calati del 30-35 per cento, i dipendenti che passano dai mille del 2000 ai meno di cinquecento di adesso.
La produzione della Mantero è divisa in due. Metà sono prodotti finiti: foulard, sciarpe, cravatte, che non vanno in commercio con il marchio Mantero ma con quello di grandi griffe; l’altra metà sono tessuti venduti ad aziende che confezionano abiti da donna. Per dare un’idea: una cravatta della Mantero costa in negozio, a seconda del marchio, dagli 80 ai 110 euro. Una cravatta di seta made in Cina, un quarto o anche meno.
«La Cina indubbiamente ci ha dato un duro colpo - dice Mantero -. Il resto l’ha fatto la moda, che a un certo punto si è orientata verso altre fibre. Ma direi che negli ultimi tempi la mazzata più pesante è stata proprio la crisi generale, mondiale. Anche se molti non lo pensano, nel settore del lusso c’è stata una grandissima contrazione dei consumi». La tentazione a un certo punto è stata quella di mollare tutto, e ha preso sostanza nell’offerta avanzata nel 2000 dal gruppo Finpart. «Ho avuto la possibilità di vendere tutto. Avrei preso un bel po’ di soldi e avrei vissuto tranquillo. Non l’ho fatto, e per fortuna, visto che poi quel gruppo ha avuto qualche problema».
La svolta è nata in quei giorni. «Non me la sentivo di interrompere una storia così bella. Ho guardato negli occhi i miei figli Franco, che oggi ha 36 anni, e Lucia, 32, e ho chiesto: continuiamo o no? Continuiamo, mi hanno detto. Oggi lavorano tutti e due qui in ditta con me». Qualcun altro in famiglia non ha gradito, e se n’è andato. «Io ho fatto un passo indietro, restando solo proprietario del 90 per cento, e ho lasciato gli incarichi operativi a un amministratore delegato, Massimo Brunelli, che è lo stratega della ristrutturazione».
Ma non bastava. «Nel 2008 - racconta Moritz Mantero - ho deciso di mettere mano alle mie riserve personali. E ho messo in azienda cinque milioni di euro. Soldi messi via negli anni d’oro, i Novanta, quando l’azienda distribuiva utili ai soci. Con sana mentalità piemontese, li avevo messi da parte. Avevo pensato: non spendiamoli, chissà, potrebbero servire un giorno se le cose dovessero andare meno bene». Dopo otto anni di bilanci in rosso, la Mantero chiude ora il 2009 con un sia pur piccolo utile. «E lei non immagina quanto sono felice di quel sacrificio. Questa è un’azienda vecchia maniera, qua si fanno ancora le feste quando un dipendente compie quindici anni di anzianità. Mi creda: un imprenditore non pensa che il profitto sia tutto».
Lo guarderanno come un marziano? O come uno che cerca di farsi pubblicità? In realtà la notizia dei cinque milioni di euro s’è saputa perché l’ha pubblicata ieri La Provincia, il quotidiano di Como. Reazioni? «Mi ha chiamato Ambrogio Taborelli, il presidente degli industriali comaschi, e mi ha detto: bravo, dobbiamo far vedere che gli imprenditori non devono tirar fuori solo i... (insomma, ha capito), ma anche il portafogli)
La stampa