sono stato molto combattuto se scriverLe o lasciar perdere dopo il convegno alla ex Borsa Merci sulla situazione del settore tessile nel bergamasco ed in ma poi ho deciso di scriverLe queste poche righe.
Ho letto con attenzione il Vostro articolo al riguardo,con gli interventi di alcuni partecipanti al convegno e desidero fare alcune precisazioni. Il settore tessile in va male già dalla fine degli anni 90.La fantasia e l’inventiva degli italiani ha permesso che ci si salvasse in zona Cesarini fino agli inizi del 2005 per poi iniziare una logica ed inesorabile caduta. Questo crollo era già annunciato ma con gli aiuti Europei alcuni gruppi sono riusciti a procrastinare questa crisi. Ferie anticipate, cassa integrazione per motivi vari, spostamento dei pagamenti ai fornitori, etc. etc. I nodi prima o poi arrivano al pettine. Questa crisi è chiaramente mondiale, ma il tessile italiano era già in crisi, testimone del fatto, le chiusure di aziende sia nella provincia di Varese che nella zona di Busto Arsizio e nel Comasco.
Negli anni ’70 si vendevano ai paesi dell’estremo oriente i macchinari tessili che da noi erano obsoleti. La qualità dei tessuti era pessima e la produzione scarsa. Necessitavano di molta manodopera e di molta manutenzione. Negli anni ’90 i nostri imprenditori pensarono che fosse meglio iniziare una delocalizzazione degli impianti sia di produzione del macchinario che del tessuto per aumentare i fatturati,le vendite e gli utili. Risultato finale fu una massiccia produzione a basso costo con una ottima qualità dei tessuti che invasero l’Europa. Adesso ci si lamenta che non ci sia lavoro e che gli italiani non comprino i nostri prodotti etc,etc,. Ma era così difficile da immaginare questo scenario? Non penso che serva un Master alla UCLA per prevedere quello che sarebbe successo nel settore tessile italiano. Se si delocalizza un impianto, è ovvio che si impoverisca la zona dove prima si produceva un bene, perché il commercio non arricchisce come il manifatturiero, il territorio. Se si vende un impianto computerizzato ad un paese con costi di manodopera bassissimi, è logico che si verrà invasi da tessuti a basso costo ma con qualità ottima.
Inoltre credo che i vari discorsi legati alla innovazione tecnologica,alla sperimentazione di nuovi tessuti e di brevetti innovativi possano esclusivamente incrementare le produzioni di nicchia e non certo le vendite al consumatore del ceto medio e medio alto che generano volàno di ricchezza.
Il dovere di un imprenditore è creare ricchezza non solo per sé, ma anche per i dipendenti che lavorano, perché sono loro la sua forza ma anche i potenziali acquirenti del suo prodotto.
Dagli interventi nell’articolo su BergamoNews traspare solo una colpa, quella dello Stato che non tutela i senza lavoro, delle banche che non danno credito. Siamo sicuri che non ci siano altri colpevoli? Certamente, è facile gridare sempre, ”governo ladro”, così non si fa autocritica, perché il capro espiatorio è trovato e l’imprenditore si sente così sollevato da colpe.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso si potrebbe declamare ma purtroppo è il nostro paese a piangere.
Distinti saluti.
Paolo Comi
Bergamo News