Se Atene piange Sparta non ride. Il mondo del tessile carpigiano è in netta difficoltà. I dati evidenziano crolli anche del 40%, ma è tutto il settore ad essere sull’orlo di una crisi di nervi, comprese le maglierie e le aziende di confezionamento cinese. Gli orientali sopravvivono grazie a commesse estere, ma sempre più si affidano a manager italiani per gestire la manodopera: un’innovazione da non sottovalutare perchè la competenza nostrana fa gola alla forza economica cinese. E intanto aumentano gli episodi di caporalato, con decine di lavoratori, italiani e stranieri, a caccia di un impiego anche solo per una mattina che si notano aggirarsi per capannoni offrendo le proprie competenze a prezzi ridotti, ovviamente in nero.
Una cortina di omertà regola il mondo tessile cinese. O meglio, i padroni parlano anche volentieri, ma non vogliono farsi riconoscere per timore di uscire dal giro per una frase sbagliata. Così capita che i portoni dei capannoni di Cibeno Pile si chiudano, mentre qualcuno di importante sbircia dall’alto. Ma la crisi orientale è evidente. «Abbiamo un calo anche del 40% - spiegano - Come noi ce ne sono tanti altri, alcuni stanno già chiudendo. C’è chi sopravvive grazie alle commesse che arrivano dall’estero o dal tentativo di innovare, magari puntando sulla realizzazione di campioni che poi possono entrare nel circuito. Un’altra strategia vuole che qualcuno si stia attrezzando per aprire un negozio e vendere direttamente».
Un’altra testimonianza decisa arriva dalla zona di via Due Ponti. «Lavoriamo poco, ma sopravviviamo ancora. Molto peggio va alle piccole stirerie o ai laboratori che producono asole o cuciono bottoni. Loro davvero non ce la fanno più».
Se i cinesi iniziano a soffrire, la domanda è presto fatta: come gira agli italiani? Dire male è un eufemismo. «Nel 2008 - spiegano da Cibeno - avevamo un fatturato di 400mila euro. Le previsioni attuali parlano di 250mila. Di questi, 30mila servono mensilmente per le spese. Lo Stato non ci aiuta, è evidente che diventiamo degli evasori oppure cerchiamo di fare del nero. Come possiamo sopravvivere? Le grandi case di abbigliamento producono all’estero dove una maglia costa 6 euro finita e loro la rivendono a 60 in Italia. Lo scorso anno un confezionamento ci veniva pagato 1.40 euro, ora lo vogliono a 0.70. A Prato, so di maglie pronto-uso che si trovano a 5 euro finite. Qui è impossibile e le banche non danno tregua. Il distretto è sul lastrisco e per fortuna alcune aziende carpigiane ci danno ancora delle commesse»
(21 maggio 2009)
fonte l'espresso local